Copyright Gennaio 2018

 

Charlotte O. Vallino, Francesco Negri Arnoldi, Augusto Goletti, Paola Palermo, Grifone E. Negri Arnoldi

 

Nota al Ritratto di Ambrosius Martinengus Episcopus Bergomensis

 

Questa grande tela (130 x 98 cm), non attribuibile a personalità pittorica per ora precisata ed oggi conservata in Collezione Privata, rappresenta Ambrogio Martinengo che fu vescovo di Bergamo dal 1023 al 1057 (egli non deve essere confuso con il primo ad avere il nome Ambrosius e ad essere vescovo di Bergamo negli anni 969-974). L'arco temporale della carica vescovile di Ambrogio Martinengo fu quindi notevolissimo, ed anche su ciò poté costruirsi la sua grande influenza non solo religiosa, ma anche politica ed economica.

Nel dipinto egli viene raffigurato in un habitat interno ricco di particolari, reso con estrema cura. È inoltre di notevole eleganza lo studio della sua veste di tessuto leggero, quasi impalpabile, ornata di merletti longitudinali dal filato sottile, quindi prezioso, che ne accentuano la vaporosità. Per quanto riguarda la persona del Vescovo, vi è una notevole precisione nella resa della fisionomia del volto, come pure della mano destra che reca sull'indice l'anello con l'effige dell'aquila rossa in campo d'oro, stemma della casata Martinenga rimasto identico durante i secoli (in araldica: d'oro all'aquila di rosso coronata del campo).

Non si può non sottolineare come la perfetta riproduzione dello stemma della casata Martinenga dimostri che il pittore conoscesse perfettamente la casata e la sua storia nobiliare. Questo dettaglio risulta dunque assai importante per l'interpretazione del dipinto fornita nella presente nota.

D'altro canto, la resa della fisionomia di vescovo Ambrogio Martinengo può far pensare che questo dipinto, collocabile come si vedrà diversi secoli dopo la sua morte, abbia avuto per modello una precedente immagine che ritraeva il Vescovo stesso sulla base di una dettagliata tradizione tramandata a partire dai suoi contemporanei. Tuttavia, tale opera non è stata individuata. Il ritratto qui commentato non sembra avere un precedente iconografico, o almeno esso non è allo stato attuale conosciuto.

 

In questa nota, il cui interesse centrale è il ritratto di Vescovo Ambrogio Martinengo, occorre inserire alcuni dati storico-biografici sul medesimo, nonché informazioni geografico-politiche relative al suo tempo atte a precisare il contesto in cui egli visse e svolse la propria attività.

Egli nacque verosimilmente nel 983 circa e morì nel 1057 (è incerto se il 21 Ottobre o il 20 Settembre). Fu uno dei figli di Lanfranco de loco Martinengo, come si ricava da due documenti, del 1040 e del 1053, riportati dallo storico settecentesco Mario Lupo nel suo Codex Diplomaticus Civitatis, et Ecclesiae Bergomatis. È utile sottolineare che questo Lanfranco fu un possidente con un cospicuo patrimonio di terre e altri beni immobili, ciò che si evince dal suo testamento, anch’esso riportato da Mario Lupo.[1]

Da un documento dell’anno 1023 si apprende inoltre che il padre del suddetto Lanfranco, che portava anch’egli il nome Lanfranco, era un conte. Il documento riportava infatti: Lanfrancus de Martinengo et filius quondam item Lanfranci Comes.[2]

A partire dall’importante fonte costituita da Mario Lupo, gli studiosi hanno avuto la tendenza a indicare vescovo Ambrogio quale figlio di Lanfranco (menzionato talora come Lanfranco II) e a considerarlo appartenente alla stirpe dei conti del comitato bergomense, dalla quale -successivamente- avrebbe avuto origine anche lo specifico casato dei conti Martinengo di Brescia.[3]

 

La ricostruzione genealogica condotta nel Novecento da monsignor Paolo Guerrini, tra coloro che evidentemente seguono la linea di Mario Lupo, si indirizza a confermare la succitata nobile paternità e a considerare Ambrogio figlio di Lanfranco Martinengo come appartenente alla sfera genealogica dei comites de Martinengo derivanti da Gisalberto vasso imperiale e conte di Bergamo, attestato nella prima generazione del X secolo, Conte del Sacro Palazzo nel 926. Il padre di Ambrogio Martinengo, dotato di estesi domini tra cui i possedimenti in località Martinengo, ov'egli avrebbe abitato, sarebbe stato dunque suo pronipote e sarebbe succeduto al proprio genitore ed ai di lui predecessori nell'ufficio di conte di Palazzo.

La carica vescovile di Ambrogio Martinengo, carica che si iscriveva nell'aspirazione delle grandi famiglie del tempo ad assicurarsi nel locale vescovo-signore la garanzia dei propri interessi economici e politici, dimostra certamente la potenza della famiglia Martinengo, che con le sue diramazioni locali ebbe infatti importanti vincoli con le curie vescovili di Bergamo e di Brescia, dalle quali ottenne benefici, investiture, privilegi.[4]

Giova ricordare come il collegamento genealogico tra i Martinenghi della famiglia di vescovo Ambrogio ed il ceppo principale della famiglia Gisalbertina non trovi concorde, o lasci nel dubbio, la platea degli studiosi contemporanei. In località Martinengo poteva essere vissuto un Lanfranco (padre di Ambrogio) non necessariamente appartenente alla stirpe dei conti di Bergamo. Tuttavia, la fama acquisita da vescovo Ambrogio durante la sua lunga carica vescovile avrebbe fatto sì che egli venisse in qualche sorta nobilitato anche sul piano genealogico quale membro di tale illustre famiglia.[5]

 

Occorre notare che, invece, l'appartenenza alla grande famiglia Martinenga è riportata -senza ombra di dubbio- dalle fonti antiche, due delle quali verranno citate a seguire.

 

Ambrogio Martinengo successe ad Alcherio, la cui ultima testimonianza sarebbe del 22 Giugno 1022. Dopo un periodo di tempo di alcuni mesi privo di informazioni, messo in evidenza da Mario Lupo, egli viene documentato come vescovo di Bergamo dall'Ottobre 1023.

Da Vescovo, le fonti ricordano che egli ebbe la completa giurisdizione civile sopra tutto il comitato di Bergamo, concentrando in sua mano vasti poteri.[6]

La sua fama e la sua affidabilità rispetto alla politica imperiale fecero sì che fossero emessi importanti privilegi a favore della Chiesa di Bergamo: da Enrico II (nello stesso 1023), da Corrado II (nel 1026 e 1027) e successivamente da Enrico III. Di notevole significato nell'organizzazione del territorio bergamasco, e nella più ampia geografia politica locale, fu il diploma che quest'ultimo concesse nel 1041, certamente a riconoscimento della qualità dell'azione di Ambrogio Martinengo, detto nel diploma venerabilis Episcopus: tale privilegio estendeva a tutto il territorio bergamasco l'autorità del Vescovo, che quindi andava a ricadere non solo sulla città e sulle terre circostanti ma su un ben vasto spazio geografico.

Sempre per quanto concerne Enrico III è utile notare che vescovo Ambrogio Martinengo partecipò al sinodo presieduto da Enrico III stesso, tenutosi a Pavia, nel 1046, come pure è verosimile che egli presenziasse, a Roma, alla incoronazione imperiale (Natale 1046), solo di un giorno successiva alla elezione papale ed anche al primo concilio di papa Clemente II, nei primi giorni di Gennaio 1047.

I rapporti con l'imperatore Enrico III dovettero essere estremamente favorevoli e in tal senso si deve considerare che vescovo Ambrogio Martinengo partecipò alla dieta che Enrico III tenne in occasione della sua seconda discesa in Italia nel 1055. È conseguentemente considerato probabile che egli abbia assistito, tra gli oltre cento vescovi presenti, al grande sinodo convocato a Firenze da Vittore II per la Pentecoste del 1055, ove partecipò Enrico III ed ove vennero discusse, tra le altre, materie quali la condanna della simonia e la pratica del concubinato nel clero, nonché la sicurezza dei beni ecclesiastici. [7]

 

Vescovo Ambrogio, fu un profondo conoscitore del Diritto e un uomo di grande spessore nel campo letterario, oltre che naturalmente un fine studioso delle Sacre Scritture. Egli condusse la sua carica e fu a capo della sua diocesi con spirito profondamente religioso, preoccupandosi della tutela ed espansione del patrimonio della Chiesa di Bergamo ma anche tenendo viva la locale vita religiosa e dedicandosi pure alla promozione di opere artistiche.

Una fonte antica importante, apparsa a Bergamo e a Brescia nel 1617-1618, è rappresentata dall'opera del sacerdote cappuccino noto come Celestino da Bergamo, nato probabilmente nel 1568 dal conte Gian Antonio Martinengo del ramo Colleoni e morto nel 1635, il quale illustrava gli eventi che caratterizzarono la vita di vescovo Ambrogio e le sue grandi qualità -qui sopra sintetizzate- in un paragrafo dal titolo: Di Ambrosio Vescovo di Bergomo, e varij priuilegi à lui concessi.

Inoltre, si può fare riferimento all’opera di Ottavio Rossi, alle stampe a Brescia nel 1620 -nella quale si cita padre Celestino da Bergamo-, che ricordava vescovo Ambrogio anche come autore di un'opera sui Salmi. Analoga notizia è riportata da Mario Lupo, che citava una fonte secondo la quale tale opera sarebbe stata conservata -ancora in tempi di molto successivi- nella biblioteca del convento di Santa Maria delle Grazie a Bergamo, della cui ricchezza di manoscritti e libri a stampa si ha memoria ma che ora è dispersa e suddivisa in sedi diverse (lo scritto di vescovo Ambrogio non risulta pervenuto sino ai giorni nostri).[8]

 

Il dipinto raffigurante vescovo Ambrogio riporta particolari interessanti collegabili alle informazioni qui riportate, ma include pure diversità rispetto alla precisa tradizione storico-ecclesiastica che lo riguarda.

 

Occorre soprattutto notare la legenda del cartiglio al piede del dipinto che, sciogliendo le abbreviazioni finali, dice:

«Ambrosius Martinengus Episcopus Bergomensis, Religione et Doctrina Celebris, Qui cum per XXXX annos suam Ecclesiam Sanctissime Gubernasset, Veterem Præclare Virtutis et Familiæ, Novis Laudibus Insigniter Cumulavit. Anno Domini Nostri Iesus MLV.».

 

 L'Autore del dipinto indica una data precisa, quella del 1055, che però non coincide con quella della morte di vescovo Ambrogio, deceduto infatti nel 1057, e che avrebbe potuto essere oggetto di un'opera evocativa della sua fama cinque-sei secoli dopo.

Cercando in un evento storico-politico di grande significato al tempo del Vescovo la ragione di tale indicazione, si può ritenere assai verosimile che essa voglia collegarsi al citato sinodo di Firenze, avvenuto appunto nel 1055, che raccolse prestigiose personalità della Chiesa e che fu cruciale per contenuti nella storia della Controriforma.

 

Nel dipinto Ambrogio Martinengo viene rappresentato con indosso paramenti vescovili che furono in effetti modificati dopo il Concilio di Trento (1545-1563): la novità delle vesti vescovili introdotte con la Controriforma riguardano in particolate l'uso della 'mozzetta' (mezza mantellina) e del 'tocco' (copricapo a tre punte) che si riscontrano nel ritratto.

 

D'altra parte, sempre esaminando la legenda del cartiglio, si deve notare la discrepanza rispetto alla tradizione storica accettata dalle fonti riguardo alla durata di trentaquattro anni del vescovato di Ambrogio Martinengo.

In questo senso giova certamente sottolineare che Mario Lupo, nel suo Codex Diplomaticus Civitatis, et Ecclesiae Bergomatis, pubblicava e commentava i documenti antichi attestanti inequivocabilmente che Ambrogio Martinengo aveva coperto la carica vescovile durante trentaquattro anni.

Orbene, Ottavio Rossi -la cui opera fu molto nota al suo tempo- riportava la notizia che Ambrogio fu vescovo per oltre quarant'anni. Considerando questo elemento, ed il fatto che non sembrano esistere altre fonti ad ampia circolazione che indichino un arco cronologico di quaranta anni per il vescovato di Ambrogio Martinengo, si può ipotizzare che l'Autore del dipinto sia stato guidato, almeno per questo particolare, da quanto era stato scritto negli Elogi Historici di Bresciani Illustri di Ottavio Rossi.

 

Occorre ora soffermarsi sulla datazione del dipinto.

Analizzato sul piano stilistico, da parte dello Storico dell'Arte Medievale e Moderna e dall'esperto in Liturgia Postconciliare che firmano -tra gli altri- questa nota, esso sarebbe databile al XVI secolo dopo il 1563, ossia dopo la conclusione del Concilio di Trento.

Tuttavia, tenendo presente l'opera di Ottavio Rossi -come detto apparsa nel 1620-, che fissa a quaranta anni il vescovato di Ambrogio Martinengo, si può ipotizzare che l'Autore del dipinto abbia fatto propria quell'indicazione e che, conseguentemente, il dipinto si collochi dopo il 1620, dopo la data di pubblicazione degli Elogi Historici di Bresciani Illustri. Questo, a meno che venga individuata un'altra fonte, più antica di Ottavio Rossi: vale a dire una fonte post-conciliare, tardo cinquecentesca, che riporti l'informazione (inesatta) concernente i quaranta anni del vescovato di Ambrogio Martinengo.

 

Tornando a soffermarsi sul ritratto dal punto di vista della fisionomia di Ambrogio Martinengo, ci si deve interrogare sull'ipotesi di una sua derivazione da un antico prototipo coevo al Vescovo e che avrebbe guidato la mano del Pittore autore del dipinto qui commentato. Questa ipotesi andrebbe esclusa, oltre che per le vesti vescovili di foggia posteriore al Concilio di Trento, anche osservando la 'mitria' che compare nel dipinto appoggiata sul tavolo accanto al vescovo Ambrogio stesso. Nel Medioevo la 'mitria' non era infatti indossata nella posizione frontale, così come essa si presenta nel dipinto, ma lateralmente con due corna in vista.

Ben difficilmente, d'altronde, si può immaginare l'esistenza di un'antica effige ritraente i caratteri fisionomici di vescovo Ambrogio. Questo può essere affermato in quanto di età medievale restano soltanto ritratti di re o imperatori ed anch'essi idealizzati. Non si riesce neppure a conoscere il vero volto di San Francesco d'Assisi, malgrado l'esistenza di ritratti dipinti da Cimabue e da Giotto.

 

Quale è dunque la conclusione?

La conclusione è che questo dipinto è un ritratto di repertorio. Vale a dire un tipo di raffigurazione -eseguita su base di memorie tramandate, o anche di fantasia- destinata a ricordare personaggi illustri onde commemorare eventi e realtà storiche passate, come pure a mostrare l'aspetto di quei personaggi ai credenti cristiani, per lo più ignari di storia dell'arte e di tradizioni liturgiche, come nel caso della serie dei medaglioni della Cappella Sistina con le immagini dei papi.

 

Stando a quanto qui sopra commentato, considerando le fonti antiche attualmente a disposizione, il ritratto di vescovo Ambrogio illustrato in questa nota sarebbe stato verosimilmente dipinto dopo il 1620, ossia dopo la pubblicazione dell'opera di Ottavio Rossi: una pubblicazione vocata a disseminare gli Elogi Historici di Bresciani Illustri, come dice il titolo, che ebbe vasta eco e che, quindi, avrebbe potuto stimolare un tale ritratto commemorativo.

Poiché vescovo Ambrogio Martinengo fu originario della omonima località sita nel territorio bergamasco (Martinengo), potrebbero venire escluse, o sembrare poco plausibili, eventuali committenze provenienti dal Bresciano. Ma, a questo proposito, si deve nuovamente notare che Ottavio Rossi, nella sua complessiva trattazione, tendeva a collocare le origini più antiche della casata Martinenga anche nella città di Brescia. Dunque, non soltanto da Bergamo ma anche da Brescia avrebbe potuto provenire la committenza del ritratto commentato in questa nota.

 

Riflettendo su tutto quanto esposto, pur restando anonimo l'Autore del dipinto, è possibile avanzare l'ipotesi che segue.
All'uscita dell'opera di Ottavio Rossi, un membro della famiglia Martinenga (tutti i suoi rami inclusi) -come pure un notabile di Bergamo ad essa collegato- commissionò il ritratto di repertorio in questione: e, questo, può essere avvalorato dalla rigorosa riproduzione dello stemma Martinengo sull’anello di vescovo Ambrogio.
Inoltre, non è da escludere che il soggetto commissionante fosse addirittura legato al vescovato di Bergamo, o che fosse un membro della Chiesa locale, dati i dettagli delle vesti vescovili di foggia posteriore al Concilio di Trento e quello offerto dalla 'mitria' appoggiata sul tavolo accanto a vescovo Ambrogio, di cui si è parlato poc’anzi: particolari, questi, che dovevano essere effettivamente noti a chi conosceva approfonditamente l’evoluzione dei costumi ecclesiastici e della liturgia postconciliari.    

 

Dettagli del dipinto:

 

 

 

Albero ricavabile dai documenti analizzati da Mario Lupo [9]

 

Gisalberto

conte del Sacro Palazzo e del Comitato Bergomense [10]

Lanfranco

conte del Sacro Palazzo e del Comitato Bergomense

Gisalberto (II)

conte del Sacro Palazzo e del Comitato Bergomense

Lanfranco (II)

conte del Sacro Palazzo e del Comitato Bergomense

o

conte del Comitato Bergomense

o

conte

                

Lanfranco (III) de Martinengo      Ambrogio vescovo di Bergamo

 

 

 

 

[1] Il titolo completo dell'opera di Mario Lupo (Mario Lupi), in due volumi è: Codex Diplomaticus Civitatis, et Ecclesiae Bergomatis a canonico Mario Lupo ejusdem Ecclesiae primicerio digestus notis, et animadversionibus illustratus; Volumen Primum, Vol. I, Bergamo, Tipografia V. Antoine, 1784; Codex Diplomaticus Civitatis, et Ecclesiae Bergomatis a canonico Mario Lupo ejusdem Ecclesiae primicerio digestus notis, et animadversionibus illustratus; Volumen Secundum. Opus Posthumum Editum, ac Monumentis et Commentariis Auctum a presbytero Iosepho Ronchetti, Vol. II, Postumo, Bergamo, Tipografia V. Antoine, 1799.
Si vedano i due documenti citati in C. D. B., II: per Lanfranco padre di vescovo Ambrogio Martinengo, Libro IV, col. 605-606, 607-608, documento anno 1040 (2 Luglio), Emptio Ambrosii Episcopi de possessionibus in Levate, «[...] Domnus Ambrosius Episcopus Sancte Bergomensis Ecclesie et filius quond. Lanfranci de loco Martiningo [...]», che si ritrova identicamente, col. 637-638, 639-640, nel documento anno 1053 (30 Luglio), Venditio [...] facta Ambrosio Episcopo.
Per il Testamento di Lanfranco da Martinengo, si veda C. D. B., II, Libro IV,  col. 571-572, atto anno 1032 (4 Novembre).
Per la data di morte di vescovo Ambrogio Martinengo nel 1057, il 21 Ottobre o il 20 Settembre a seconda delle fonti analizzate da Mario Lupo, si veda C. D. B., II, Libro IV, col. 647-648 e 649.
Alla fine del testo verrà riportato l'Albero genealogico derivante dalle conclusioni di Mario Lupo.

 

[2] Ernesto Odazio, I conti del Comitato bergomense e loro diramazioni nei secoli X-XII, «Bergomum», Anno XXVIII, fasc. 4, 1934, p. 274.

E. Odazio, p. 281, non appare convinto di tale paternità e neppure del fatto che vescovo Ambrogio fosse figlio di Lanfranco (Lanfranco II). Quest'ultimo aveva infatti avuto anche un figlio con lo stesso suo nome: Lanfranco (III). Seguendo il ragionamento, Ambrogio (futuro vescovo di Bergamo) sarebbe stato fratello di Lanfranco (III), come peraltro si osserva visionando l'albero presentato dall'autore a p. 280. E. Odazio fa anche notare che Lanfranco (III) ebbe un figlio di nome Ambrogio, che fu subdiacono, lasciando quindi supporre, seppure in modo assai sfumato, che la linea genealogica di vescovo Ambrogio non è perfettamente accertata.

 

[3] Mario Lupo, C. D. B., II, Libro IV, col. 649/II.

 

[4] Paolo Guerrini, Una Celebre Famiglia Lombarda. I Conti di Martinengo, 1930, pp. 59-89.

 

[5] E. Odazio, cit., 1934, pp. 275-276 e 1935, cit., p.110.

 

[6] Per l’ascesa alla carica vescovile di Ambrogio Martinengo, nel 1023, che risulterebbe documentata a partire dal 23 Ottobre, si veda Mario Lupo in C. D. B., II, col. 508. Lorenzo Dentella, I Vescovi di Bergamo. Notizie Storiche, Editrice Sant’Alessandro, Bergamo, 1939, p. 101, sottolinea il fatto che nell’Ottobre 1023 Ambrogio Martinengo risultava vescovo di Bergamo.
E. Odazio, cit., 1935, p. 110, si sofferma sull’estesa autorità civile esercitata da vescovo Ambrogio Martinengo.

 

[7] Lorenzo Dentella, 1939, cit., pp. 101-106. Margherita Giuliana Bertolini, Ambrogio, Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2, 1960; Hans Peter Laqua, Clemente II, Wolfgang Huschner, Vittore II, Enciclopedia dei Papi, 2000, http://www.treccani.it.

                                                

[8] Historia Quadripartita di Bergomo, et suo Territorio, nato Gentile, & rinato Christiano, Raccolta per F. Celestino da Bergomo Sacerdote Capuccino, Parte Seconda, Libro Decimo Ottavo, Valerio Ventura,  Bergamo, 1617 (poi Paolo Bizardo, Brescia, 1618), pp. 262-269. Ottavio Rossi, Elogi Historici di Bresciani Illustri. Teatro di Ottavio Rossi, Bartolomeo Fontana, Brescia, 1620, pp. 24-25 (dell’opera di Ottavio Rossi esiste una ristampa anastatica, presso Aldo Forni Editore, 1981).

Mario Lupo in C. D. B., II, col. 650, ricorda le doti in campo letterario di vescovo Ambrogio Martinengo e l’egregio volume sui Salmi da lui lasciato, conservato nella biblioteca di Santa Maria delle Grazie. Per la biblioteca si veda l’articolo online Santa Maria delle Grazie di Bergamo: il convento e la biblioteca (presso www.centrostudiantoniani.it).


[9] Cfr. E. Odazio, Anno 1934, cit., pp. 273 e p. 280.

 

[10] I discendenti di Gisalberto costituirono una grande e potente famiglia, detta dei Gisalberti oppure Gisalbertini, che -già prima dell'anno Mille- esercitava la propria autorità su vasto raggio geografico, godeva di estesi latifondi nella Bergamasca, nel Bresciano, nel Cremonese e nel Cremasco, copriva gli uffici di vassi e di missi regi, di conti del Sacro Palazzo e del Comitato Bergomense, ed aveva giurisdizione su strade e corsi d'acqua all'interno dei propri territori. Nel tempo, pur con il frazionamento del latifondo tra membri e rami familiari, essi continuarono a venire indicati con il titolo originario di conti del Comitato Bergomense oppure semplicemente con quello di conte. Cfr. E. Odazio, Anno 1934, cit., p. 273.

 

 Il restauro di questo dipinto è stato effettuato da Marianna Leone, restauratrice in Roma.


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